IMPRESA FAMILIARE E SUCCESSIONE: COME PROTEGGERE IL FUTURO DELL’AZIENDA E DEI LEGAMI

02.02.2023
Matteo Rinaldi
Le imprese familiari sono la spina dorsale dell’economia italiana, ma il passaggio generazionale e la successione aziendale restano i punti più critici. Questo articolo offre strategie concrete per prevenire conflitti, strutturare una governance efficace, definire le regole interne, gestire la distribuzione delle quote familiari e garantire la continuità dell’impresa oltre la figura del fondatore.
DAL PASSAGGIO GENERAZIONALE ALLA GOVERNANCE: TRASFORMARE L’IMPRESA IN UN’EREDITÀ VIVA
Le imprese familiari non sono solo una forma giuridica: sono un’identità. Nascono dall’incontro tra visione imprenditoriale e legami personali, spesso cresciute attorno a un laboratorio, un’officina, un’intuizione condivisa tra padre e figlio, tra fratelli, tra coniugi. In Italia, sono la forma d’impresa più diffusa, ma anche la più esposta quando si tratta di guardare lontano.
Se da un lato queste aziende si distinguono per rapidità decisionale, radicamento territoriale e una visione di lungo periodo, dall’altro spesso vengono travolte da ciò che avrebbero potuto pianificare: la successione.
Il passaggio generazionale, percepito come un tema lontano, è in realtà il punto più delicato per la sopravvivenza dell’impresa. Non riguarda solo chi guiderà l’azienda, ma chi resterà socio, chi verrà escluso, quali valori saranno trasmessi e quali conflitti esploderanno se tutto sarà lasciato al caso.
Secondo il PwC Family Business Survey 2023, il 43% delle imprese familiari italiane non ha ancora un piano di successione formalizzato. Ma il dato più allarmante è un altro: il 78% dei leader senior è convinto che i propri figli siano pronti a subentrare, mentre solo il 27% dei figli si sente realmente preparato. Una disconnessione che rischia di trasformarsi in un vuoto di potere e strategia.
La reputazione di famiglia, la coesione tra fratelli, la fiducia costruita con clienti e fornitori in decenni di lavoro: tutto può essere compromesso in pochi mesi se non esistono regole, visione e strumenti giuridici adeguati. Il capitale più fragile oggi non è quello economico, ma quello relazionale e intangibile. Il brand di famiglia, il patrimonio valoriale, la capacità di prendere decisioni condivise: sono questi gli asset da proteggere, perché sono i primi a deteriorarsi senza una governance strutturata.
Lo conferma anche John L. Ward, uno dei maggiori esperti mondiali di impresa familiare, che in Family Business Governance scrive: “Il valore di un’azienda familiare non è solo nei bilanci, ma nella qualità della sua transizione tra generazioni. Una governance efficace è ciò che distingue una dinastia da un’occasione perduta.”
La vera domanda non è se affrontare il passaggio generazionale, ma quando e come. Chi aspetta troppo spesso lo fa per incertezza più che per mancanza di volontà. Eppure, ogni famiglia imprenditoriale può essere messa nelle condizioni di governare il cambiamento, se accompagnata con gli strumenti giusti, una visione chiara e il supporto di chi conosce davvero le dinamiche familiari.
ERRORI COMUNI E FRAGILITÀ NASCOSTE: DOVE INCIAMPANO LE IMPRESE DI FAMIGLIA
Molti imprenditori credono che l’impresa familiare possa reggersi sulla fiducia reciproca, sul buon senso e sulla storia condivisa. In realtà, è proprio dove tutto sembra naturale che si annidano gli errori più pericolosi. La confusione tra proprietà e gestione. L’illusione che l’eguaglianza tra figli coincida con la meritocrazia. L’assenza di regole scritte. L’idea, sbagliata, che ci sia sempre tempo per sistemare le cose.
La gestione dell’impresa familiare è un equilibrio sottile tra affetti e obiettivi, tra legami e bilanci. Ma questo equilibrio diventa instabile quando i ruoli non sono chiari, le aspettative sono implicite, e le decisioni si prendono attorno a un tavolo di famiglia invece che in un consiglio di amministrazione vero.
Oggi emergono fragilità nuove. Una delle più sottovalutate è la presenza di eredi disinteressati: non operano in azienda, ma restano soci, spesso pretendendo dividendi o potere decisionale. Senza regole statutarie precise, la loro presenza può rallentare o bloccare ogni decisione strategica. Talvolta, chiedono la liquidazione della propria quota, generando tensioni o crisi di liquidità.
Un altro errore è ignorare il patrimonio intangibile: il nome della famiglia, il posizionamento costruito, le relazioni che fanno parte del valore dell’azienda. Senza una governance capace di proteggere questi asset, tutto ciò che rende unica l’impresa rischia di perdersi.
Infine, molti ignorano l’importanza di prevedere strumenti di uscita. Cosa succede se un figlio, un fratello, un cugino decide di vendere la propria quota? In mancanza di clausole di prelazione, gradimento o consolidamento, l’azienda può finire in mani estranee o dover erodere capitale per liquidare soci passivi.
Il passaggio generazionale, quindi, non è l’unico nodo. Il vero pericolo è non governare la coesistenza. È lì che si crea o si sgretola la continuità. Una governance solida non nasce da regole preconfezionate, ma da una visione integrata che tenga insieme persone, ruoli, strumenti e obiettivi. E il ruolo dell’advisor, in questo processo, non è accessorio: è ciò che permette alla famiglia di trasformare la complessità in equilibrio.
LE REGOLE DEL GIOCO: COSTRUIRE UNA GOVERNANCE FAMILIARE CHE FUNZIONA
In ogni impresa familiare arriva un momento in cui le domande informali non bastano più: “Chi decide davvero?”, “Chi può entrare in azienda?”, “Chi prende lo stipendio?”, “Cosa succede se ci separiamo?”. È allora che servono regole. Non scritte di fretta dopo un litigio, ma regole condivise, pensate quando la famiglia è ancora unita e l’azienda stabile.
La governance familiare non è un concetto astratto: è una costituzione non codificata, una bussola che evita al sistema impresa-famiglia di andare alla deriva quando le emozioni superano la ragione. E il suo cuore è il Patto di governance.
Un buon Patto di governance stabilisce chi può entrare nell’impresa, come viene valutato il merito, come si definiscono i compensi e quali sono le regole per distribuire dividendi o reinvestire gli utili. Ma soprattutto chiarisce una volta per tutte che l’azienda non è un diritto ereditario, ma un progetto da meritare, rispettare e proteggere.
Molti errori nascono proprio qui: figli inseriti senza esperienza, fratelli trattati come soci paritari quando non lo sono, stipendi decisi al momento, in base all’umore o alla necessità del mese. Tutto questo è il contrario di una governance. È improvvisazione mascherata da tradizione.
Le famiglie più lungimiranti decidono invece di formalizzare, strutturare, prevenire. E lo fanno quando i giovani sono ancora in formazione, non quando bussano alla porta dell’azienda pretendendo un ruolo. È in questa fase che il ruolo dell’advisor diventa centrale: non per decidere al posto della famiglia, ma per facilitare il confronto, portare soluzioni già testate e soprattutto tradurre i valori in clausole chiare, eque e applicabili. Perché la vera forza di un’impresa familiare non è solo nella sua storia, ma nella sua capacità di regolarsi prima che serva.
RIVEDERE GLI ASSETTI: DARE STRUTTURA AL CONTROLLO, NON SOLO ALLA PROPRIETÀ
Una delle illusioni più diffuse tra le imprese familiari è che basti tramandare le quote per garantire la continuità. In realtà, il controllo effettivo dell’impresa non si misura solo in percentuali, ma in poteri decisionali, strumenti statutari e architettura societaria. È qui che molti falliscono: confondono proprietà con guida, famiglia con impresa, successione con governance.
Il passaggio generazionale deve essere accompagnato da una ristrutturazione tecnica e giuridica degli assetti, che dia coerenza a ciò che la famiglia ha deciso nel Patto di governance. E questo significa intervenire su almeno tre livelli: proprietà, potere decisionale e modello di gestione.
Il primo strumento da valutare è spesso la Holding familiare, che consente di accorpare le partecipazioni in un’unica struttura, separare la proprietà operativa dalla regia strategica e proteggere l’unità dell’impresa anche in presenza di più eredi. Una holding ben costruita può garantire continuità, stabilità e trasparenza, soprattutto se accompagnata da clausole statutarie blindate: consolidamento delle quote, prelazione rafforzata, voto maggiorato, regole precise per l’eventuale uscita.
In parallelo, va pianificato il trasferimento delle partecipazioni in modo non solo fiscalmente efficiente, ma coerente con il disegno di lungo periodo. Le quote non vanno “spezzettate” tra i figli per equità formale, ma attribuite in base a ruoli, responsabilità e vocazioni personali, sempre con meccanismi di tutela dell’interesse aziendale.
Infine, bisogna allineare la struttura decisionale: non ha senso rivedere le quote se il consiglio di amministrazione resta disfunzionale, se le deleghe non sono chiare, o se i giovani vengono nominati solo per evitare conflitti, senza un vero percorso di affiancamento. Non è una questione di tecnica. È visione. In un’impresa familiare, ogni quota mal distribuita è un conflitto potenziale. Ogni organo di governance mal costruito è un’eredità instabile. Il tempo per sistemare gli assetti non è quando serviranno, ma prima che sia troppo tardi.
LA GOVERNANCE COME PROCESSO: MONITORARE, ADATTARE, AFFIANCARE
Pensare che basti scrivere un Patto di governance o ridefinire gli assetti societari una volta per tutte è un altro errore comune. In una realtà dinamica come l’impresa familiare, la governance non è un documento da archiviare, ma un processo vivo. Va monitorata, adattata, integrata nel tempo. Deve crescere insieme all’azienda, alla famiglia, alle nuove generazioni.
Le regole funzionano solo se sono rispettate, e vengono rispettate solo se sono sentite. Per questo, la fase più delicata è quella successiva alla firma degli accordi: l’implementazione. Chi gestisce l’azienda deve essere il primo a dare l’esempio. Chi entra deve sentirsi parte di un percorso, non un beneficiario di privilegi.
È qui che entra in gioco l’affiancamento strutturato delle nuove generazioni. Non si può affidare un’azienda a chi non è pronto. E non si può aspettare che siano pronti da soli. Servono percorsi formativi mirati, deleghe progressive, ruoli chiari. Serve un sistema che permetta ai giovani di sbagliare, di crescere, di misurarsi. E serve un consiglio di amministrazione che non sia una formalità, ma uno spazio di confronto vero, dove le decisioni sono prese nell’interesse dell’azienda, non per salvare equilibri familiari.
In tutto questo, l’advisor non è solo un tecnico, ma un custode del processo. È colui che aiuta la famiglia a rileggere i momenti di tensione come occasioni di crescita, che anticipa le criticità prima che degenerino, che riporta l’attenzione sugli obiettivi comuni quando le dinamiche personali rischiano di prevalere. La governance familiare non si costruisce in un giorno. Ma una volta avviata, può diventare la miglior garanzia di futuro che un imprenditore possa lasciare. Perché dove c’è una governance che funziona, c’è un’impresa che può evolversi anche senza il suo fondatore.
CONCLUDERE NON SIGNIFICA USCIRE DI SCENA. SIGNIFICA PREPARARE IL DOMANI
Un’impresa familiare non si difende con l’orgoglio della tradizione, ma con la forza silenziosa di una struttura capace di reggere il tempo, le generazioni, le divergenze. La vera eredità non è ciò che si possiede, ma ciò che si è stati capaci di ordinare, proteggere, trasmettere. È un modo di decidere, di convivere, di costruire regole che valgano anche quando chi le ha pensate non ci sarà più.
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Nessuna famiglia è immune da tensioni, ambizioni, cambi di rotta. Ma è proprio per questo che serve un progetto capace di reggere l’urto della realtà. Quando i ruoli sono chiari, quando le regole non si improvvisano, anche le decisioni difficili trovano uno spazio per essere condivise. Il vero rischio non è il conflitto, ma l’assenza di strumenti per affrontarlo. Chi guida oggi ha il compito di trasformare la leadership in continuità, il potere in responsabilità, l’impresa in una storia destinata a durare. Governare il futuro significa non farsi trovare impreparati. Significa affiancarsi a chi sa tradurre valori in regole, conflitti in soluzioni, patrimonio in stabilità.
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