PROGRAMMAZIONE PATRIMONIALE PER IMPRESE FAMILIARI: GOVERNARE LA CONTINUITÀ

01.05.2023
Matteo Rinaldi
La programmazione patrimoniale dell’impresa familiare è oggi una necessità strategica. Questo articolo guida imprenditori e famiglie nella gestione della successione aziendale, tra fiscalità, quote societarie, diritti del coniuge, donazione con usufrutto, nuda proprietà e aggiornamento degli statuti. Un percorso per garantire continuità, protezione e controllo, con il supporto di un advisor.
PROGRAMMAZIONE PATRIMONIALE NELLE IMPRESE FAMILIARI
Viviamo in un’epoca in cui le imprese familiari, per continuare a prosperare, non possono più affidarsi all’intuito o alla resilienza maturata sul campo. Le pressioni fiscali, le riforme normative, l’instabilità politica e la volatilità economica impongono una leadership diversa: più lucida, più strutturata, più lungimirante.
Secondo l’ISTAT, solo una impresa familiare su quattro supera la seconda generazione, e meno del 10% arriva alla terza. Un dato riportato anche da Il Sole 24 Ore, che sottolinea la fragilità dei passaggi non pianificati (Fonte: ISTAT).
In questo scenario, l’imprenditore che guarda al futuro non è chi resiste al cambiamento, ma chi lo governa. La protezione del patrimonio, la gestione delle quote, la trasmissione ordinata dei beni e del ruolo decisionale non sono più temi da affrontare in emergenza o lasciando tutto scritto su un foglio di successione. Sono diventati parte integrante della strategia aziendale.
La vera differenza, oggi, non la fa chi guadagna di più, ma chi struttura meglio. È qui che la programmazione patrimoniale assume un significato profondo, ben oltre il risparmio fiscale o la riduzione dei conflitti tra eredi. Significa garantire che la visione imprenditoriale non si esaurisca con la prima generazione, che i valori trasmessi ai figli siano sostenuti da strumenti giuridici solidi e che il controllo resti in mani capaci, anche quando le dinamiche familiari si complicano. Significa decidere, con freddezza e consapevolezza, chi eredita cosa – ma soprattutto chi guida cosa – quando azienda e patrimonio non sono più distinti, ma un ecosistema integrato.
In questo contesto, non basta “avere uno statuto” o “pensare a una Holding”. Serve una visione complessiva, cucita su misura, che parta dalla fotografia reale degli asset, delle relazioni familiari, delle partecipazioni e dei rischi. Serve la capacità di unire diritto societario, fiscalità e sensibilità intergenerazionale in una struttura coerente e blindata. Perché ogni impresa di famiglia che non affronta per tempo il tema della successione, prima o poi, lo subirà. E chi ha creato valore per trent’anni rischia di vederlo polverizzato in pochi mesi, se manca una regia competente.
Questo è il momento in cui l’imprenditore ha due strade: continuare a rimandare, oppure iniziare a costruire. Chi sceglie di costruire sa che non può contare su soluzioni preconfezionate o approcci standard. Ogni decisione rilevante richiede una visione integrata, capace di trasformare la complessità in strategia, e la strategia in atti concreti. Perché la vera programmazione patrimoniale non è un documento da firmare, ma un processo da governare, con metodo, lucidità e strumenti che durino nel tempo.
Da qui partiamo, affrontando i passaggi decisivi che ogni famiglia imprenditoriale dovrebbe valutare per trasformare l’incertezza in continuità e l’eredità in progettualità.
CONOSCENZA DELLE IMPOSTE DI SUCCESSIONE E DONAZIONE
In un Paese dove il prelievo fiscale è spesso percepito come un ostacolo alla crescita, esiste un ambito sorprendentemente favorevole che pochi stanno sfruttando: la trasmissione del patrimonio familiare. Le regole italiane sulle imposte di successione e donazione offrono oggi un’opportunità concreta. Una franchigia di un milione di euro per ogni erede diretto, un’aliquota al 4% per figli e coniugi e l’assenza di imposte patrimoniali ricorrenti su beni mobili e immobili: è questo, per ora, il quadro che consente di trasferire asset importanti senza erosioni significative. Ma quanto durerà?
In un clima normativo segnato da incertezza e revisioni sempre più frequenti, questa condizione potrebbe cambiare in qualsiasi momento. E chi possiede partecipazioni, immobili, liquidità o strumenti finanziari dovrebbe chiedersi: quanto costerà rimandare? La pianificazione patrimoniale, in questo contesto, non è una scelta fiscale. È una decisione imprenditoriale. Le famiglie che anticipano il trasferimento delle quote — spesso anche in vita — lo fanno per avere tempo: tempo per organizzare la governance, proteggere il controllo, costruire continuità. Non per “pagare meno”.
Donare le quote dell’azienda in vita, magari mantenendo il diritto di voto e ai dividendi tramite l’usufrutto, può essere una soluzione intelligente. Ma ogni struttura fiscale efficace richiede una visione completa: valore delle partecipazioni, gradi di parentela, coerenza con gli statuti, equilibrio con i diritti del coniuge, compatibilità con la quota di legittima. Le implicazioni sono molteplici, e un errore può costare caro — in termini patrimoniali ma anche relazionali. Chi pensa che basti un atto notarile per risolvere il passaggio generazionale rischia di trasformare una buona intenzione in un contenzioso futuro.
È proprio in queste fasi che il supporto di un advisor indipendente fa la differenza. Non basta “trasferire quote”. Serve disegnare strategie patrimoniali e fiscali coerenti, personalizzate, sostenibili nel tempo. Serve tradurre la complessità normativa in scelte che tutelino le persone, l’impresa e il patrimonio. La fiscalità favorevole oggi rappresenta una leva concreta per chi vuole pianificare con visione. Ma senza una regia esperta, resta solo una possibilità. E spesso, un’occasione persa.
GESTIRE LA QUOTA DI LEGITTIMA DEL CONIUGE: UN EQUILIBRIO STRATEGICO DA NON SOTTOVALUTARE
In molte imprese familiari italiane, la trasmissione generazionale non si scontra solo con i numeri o con il fisco, ma con una realtà giuridica che spesso viene ignorata fino a quando è troppo tardi: la quota di legittima riservata al coniuge. È una parte minima solo in apparenza. In concreto, può compromettere l’intera pianificazione patrimoniale se non viene considerata fin dall’inizio. Perché non si tratta solo dei beni che restano dopo la morte: in Italia, anche le donazioni fatte in vita concorrono a formare la massa ereditaria. E il coniuge, in assenza di accordi specifici, ha sempre diritto a una quota intoccabile.
È a questo punto che molti imprenditori si scontrano con un problema pratico: gran parte del patrimonio è rappresentato da quote societarie, spesso indivisibili, e la liquidità disponibile non è sufficiente a compensare il valore spettante al coniuge. La volontà di trasferire l’impresa ai figli o a uno solo di essi si infrange contro un muro legale che non si aggira con una donazione veloce o un testamento standard. Se il coniuge contesta, l’intera operazione può essere annullata o portata in tribunale, con costi patrimoniali e relazionali molto pesanti.
Per evitare tutto questo, serve una struttura. Una Holding familiare, se progettata con intelligenza, può diventare lo strumento chiave per bilanciare il trasferimento delle quote ai figli e garantire al tempo stesso i diritti del coniuge. Ma non basta crearla: deve essere coordinata con l’assetto patrimoniale, con gli accordi coniugali e con una pianificazione successoria che tenga conto di tutti i beni, non solo societari. In alcuni casi, la nuda proprietà può essere trasferita ai figli, riservando l’usufrutto al coniuge; in altri, può essere prevista una compensazione in beni diversi. Ogni situazione ha una soluzione diversa. E ogni soluzione richiede una visione d’insieme.
Quando il patrimonio è rilevante, e soprattutto quando è concentrato in quote non facilmente liquidabili, ignorare la quota di legittima significa costruire una bomba a tempo. La pianificazione deve partire dalla realtà giuridica e adattarsi ai desideri della famiglia, non viceversa. E per farlo, è indispensabile una guida esperta che sappia coordinare fiscalità, diritto successorio e struttura societaria. Solo così il passaggio generazionale può avvenire in modo armonioso, senza sorprese, e nel pieno rispetto di tutti gli attori coinvolti.
DONARE SENZA PERDERE IL CONTROLLO: USUFRUTTO E NUDA PROPRIETÀ NEL PASSAGGIO GENERAZIONALE
Ci sono scelte che, più di altre, richiedono equilibrio, lucidità e lungimiranza. Una di queste è la decisione di iniziare la trasmissione delle quote societarie, pur continuando a esercitare il controllo dell’impresa. In questi casi, la donazione della nuda proprietà con riserva di usufrutto rappresenta uno strumento efficace, ma tutt’altro che neutro.
Questa soluzione consente di trasferire il valore patrimoniale delle quote, mantenendo al contempo il diritto di voto e quello agli utili. È una leva preziosa per chi vuole preparare la successione senza discontinuità gestionale, soprattutto quando gli eredi sono ancora giovani o non coinvolti direttamente nella vita aziendale. Ma il fatto che sia una formula semplice da attuare non significa che sia semplice da governare.
Quando l’usufrutto e la nuda proprietà sono divisi tra generazioni diverse, servono regole chiare: nello statuto, nei patti parasociali, nella governance familiare. Il rischio, se si agisce senza coordinamento, è quello di generare una convivenza forzata tra chi ha il potere e chi ha il titolo. Inoltre, anche dal punto di vista fiscale e successorio, la donazione va valutata in relazione alla quota di legittima, agli altri beneficiari e alla sostenibilità del disegno complessivo.
Inserire questo passaggio in una struttura come una Holding, aggiornata negli assetti e nei documenti, è spesso la chiave per ottenere flessibilità oggi senza compromettere la stabilità domani. È anche il momento in cui la consulenza patrimoniale assume il suo valore più alto: non per redigere un atto, ma per progettare un equilibrio tra controllo, trasmissione e tutela degli eredi.
Chi pensa che basti dividere proprietà e gestione per garantire continuità rischia di scoprire, troppo tardi, che ogni firma ha effetti duraturi. Quando il patrimonio familiare coincide con l’impresa, ogni passaggio va costruito con metodo e visione. Solo così si trasforma una scelta delicata in una strategia che protegge il presente e prepara il futuro.
IMPORTANZA DEL PASSAGGIO GENERAZIONALE NELL’ASSETTO SOCIETARIO
Nel passaggio generazionale di un’impresa familiare, il vero rischio non è soltanto quello fiscale o successorio. Il pericolo più grande riguarda l’assetto societario: ruoli non definiti, poteri distribuiti in modo disfunzionale, governance frammentata. Quando manca una struttura chiara e proiettata nel tempo, l’impresa rischia di sopravvivere al fondatore ma non alla seconda generazione. E in Italia, purtroppo, accade spesso.
Le famiglie che gestiscono con successo il ricambio generazionale non si limitano a trasferire partecipazioni. Riorganizzano la proprietà, ridefiniscono i poteri, introducono logiche nuove che separano l’affettività dalle decisioni. L’assetto societario diventa così il cuore della continuità. In questo contesto, una struttura di coordinamento patrimoniale come una Holding ben costruita può offrire stabilità, ordine e strumenti efficaci per favorire la crescita dell’impresa nel tempo. Non si tratta solo di protezione patrimoniale, ma di visione strategica.
Una Holding ben strutturata consente di distinguere la proprietà dalla gestione, evitando che l’ingresso di più eredi destabilizzi l’azienda operativa. Permette di pianificare i passaggi in modo ordinato, mantenere il controllo in mani selezionate e garantire che il comando sia esercitato da chi ha competenze, non solo diritti. È un sistema che tutela l’azienda dai rischi interni e al tempo stesso prepara il terreno per investitori, partner o ricambi futuri.
Ma tutto questo non può essere improvvisato. Ogni assetto societario efficace nasce da una comprensione profonda degli equilibri familiari, degli obiettivi imprenditoriali e delle dinamiche fiscali e legali. Serve disegnare la governance su misura, prevedere i contrasti prima che emergano, inserire le giuste clausole negli statuti, decidere chi avrà diritto di voto, chi potrà vendere quote, chi sarà tutelato e in che forma.
Questo è il momento in cui la consulenza esperta diventa indispensabile, non come supporto tecnico ma come guida strategica. Perché il passaggio generazionale non è un semplice passaggio burocratico: è un cambiamento strutturale che incide sulla leadership, sulla solidità patrimoniale e sulla tenuta nel tempo. E può trasformarsi nel momento più evolutivo per l’impresa, se guidato con metodo.
IMPORTANZA DELL’AGGIORNAMENTO DEGLI STATUTI
Tra gli strumenti meno compresi ma più determinanti nella pianificazione di una successione aziendale efficace c’è lo statuto societario. Molti imprenditori sono convinti che basti predisporre una buona struttura patrimoniale o scegliere gli eredi giusti per garantire continuità. Ma la realtà è che, senza un adeguato aggiornamento dello statuto, anche il piano più raffinato rischia di diventare inapplicabile o addirittura dannoso. È proprio lì, tra clausole vecchie, articoli generici e regole pensate per un’altra fase dell’azienda, che spesso si nasconde l’ostacolo più insidioso alla trasmissione ordinata del potere.
Ogni fase dell’impresa richiede uno statuto coerente con le persone che ne fanno parte, con il mercato in cui si muove, con la visione del futuro. E se c’è un momento in cui diventa cruciale mettere mano a quel documento, è proprio il passaggio generazionale. Perché è lì che cambiano le dinamiche, entrano nuovi soggetti, si ridefiniscono i rapporti di forza, si aprono potenziali conflitti tra chi gestisce e chi eredita. Uno statuto non aggiornato, in questo scenario, non è neutro: è pericoloso.
Aggiornare lo statuto significa molto più che correggere qualche comma. Significa ridisegnare le regole del gioco: chi decide, come si vota, chi può vendere quote, quali diritti spettano a chi esce, chi può entrare in società e in quali condizioni. Significa inserire clausole di prelazione, di gradimento, di esclusione, di consolidamento della governance. E tutto questo va fatto con una visione integrata che tenga insieme aspetti giuridici, fiscali, operativi e familiari. Non si tratta di un adempimento, ma di un investimento strategico.
Quando l’impresa è familiare e il patrimonio aziendale si intreccia con la storia personale di più generazioni, uno statuto scritto con lucidità diventa una garanzia di stabilità e coesione. Previene liti, anticipa problemi, protegge l’impresa da decisioni impulsive o pressioni esterne. Ma, soprattutto, crea uno spazio comune dove il rispetto dei ruoli e la chiarezza delle regole permettono a tutti di guardare avanti con fiducia. Non serve un testo complicato. Serve un testo pensato, cucito addosso alla realtà dell’impresa e della famiglia.
Questo lavoro non può essere lasciato a interpretazioni generiche o a copia-incolla da modelli preesistenti. Serve un’analisi profonda, una regia competente, un confronto guidato tra le parti. Solo così l’aggiornamento dello statuto diventa ciò che dovrebbe essere: un pilastro silenzioso ma potente per la continuità dell’impresa, anche quando le persone cambiano.
CONCLUDERE NON SIGNIFICA CHIUDERE: SIGNIFICA PREPARARE IL DOMANI
Chi ha costruito un’impresa, un patrimonio o una storia familiare sa che il valore vero non è solo ciò che si possiede, ma ciò che si trasmette. E sa anche che arrivano momenti in cui occorre decidere, non tanto per sé, ma per chi verrà dopo. In questi momenti, ogni scelta pesa: può garantire continuità o generare fratture, rafforzare l’impresa o renderla vulnerabile.
Leggi anche: “Intervista a Matteo Rinaldi su La Repubblica: Creare una holding di famiglia: tutti i consigli per farlo al meglio”
La successione non è un evento. È un processo, e come ogni processo complesso richiede visione, metodo e strumenti solidi. Non basta una Holding. Non basta uno statuto. Non basta un testamento. Serve una regia. Una regia che sappia armonizzare persone, poteri, fiscalità, valori, aspettative. E soprattutto, che sappia disegnare una struttura capace di proteggere l’impresa anche quando chi l’ha creata non sarà più al timone.
Affrontare oggi questo tema non è un segno di distacco, ma di responsabilità. È un atto di governo, non di rinuncia. E chi sceglie di farlo non lo fa perché è obbligato, ma perché ha compreso che ogni patrimonio ha bisogno di un progetto, e ogni progetto ha bisogno di qualcuno che sappia tradurlo in atti, clausole, equilibri. Per questo, la vera programmazione patrimoniale non è un documento da firmare, ma una strategia da guidare. E chi vuole trasformare l’eredità in progettualità sa che non può farlo da solo.
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STRATEGIE PER LA TUTELA DEL PATRIMONIO E LA CONTINUITÀ FAMILIARE
In uno scenario economico sempre più incerto e interconnesso, proteggere il patrimonio non è soltanto una scelta prudente, ma una decisione strategica per garantirne continuità e crescita. Una pianificazione evoluta consente di proteggere gli asset da rischi esterni, ottimizzare la fiscalità e predisporre strumenti avanzati per il trasferimento generazionale.
Matteo Rinaldi opera a Milano, tra i principali centri finanziari europei, ed è riconosciuto per la capacità di strutturare soluzioni personalizzate nella gestione di patrimoni complessi.
La sua formazione avanzata — che include un Master in Avvocato d’Affari e una specializzazione in Family Office — gli consente di affrontare con visione integrata anche i contesti più articolati, dove la protezione patrimoniale richiede una regia solida tra fiscalità, governance e continuità generazionale.
La sua consulenza è rivolta a imprenditori, famiglie e gruppi con capitali significativi, tra cui HNWI (High Net Worth Individuals), che necessitano di soluzioni patrimoniali su misura e robuste.
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